Ricercare l'indipendenza - Superando il vuoto e la stagnazione
Stavo per scrivere uno dei miei soliti post su come leggere mi abbia cambiato la vita o su metodi alternativi per imparare una nuova lingua straniera, ma sentivo che il mio umore era diverso.
E' da diverse settimane che avverto una strana sensazione, come una leggera frustrazione, inconscia ma costante, che fa fatica ad andarsene.
Dopo essermene accorto mi sono chiesto: da dove nasce questa percezione? Perché sento questa insoddisfazione generalizzata?
Ci ho pensato, a lungo, e credo che il problema principale sia del mio attuale lavoro, e del confronto di questo rispetto ai libri che sto leggendo e ai podcast che ascolto: ogni giorno scopro storie straordinarie di persone che dedicano, o hanno dedicato, la loro vita ad un progetto, un'idea, con una caparbietà che ammiro e invidio sinceramente.
Ciò che mi affascina di queste storie è che molti dei protagonisti avevano già dei lavori definiti "di successo", avrebbero potuto tranquillamente continuare ad essere dei semplici impiegati come fanno migliaia di altre persone nel resto del mondo ogni giorno.
D'altronde, perché rompersi tanto le scatole? Il lavoro di ufficio è un lavoro comodo, sicuro. Orari fissi, paga buona, possibilità di prendersi vacanze e permessi più o meno quando uno vuole. C'è pure la pausa caffè, cosa si vuole di più?
Ed è proprio qui che le cose si complicano. Questi "percorsi di vita" sono già tracciati; sono strade già note; finali già visti. Si sa già dove si andrà a finire, si sanno già tutti (o quasi) i passi futuri. Nessuna sorpresa. E, di riflesso, pochi stimoli.
E' proprio per questo che, ad un certo punto della loro vita lavorativa e personale, tante persone in giro per il mondo hanno deciso di cambiare: hanno deciso di affrontare il rischio, la paura, l'incertezza. Hanno deciso di seguire il loro istinto che gli diceva: stai sbagliando strada, devi tornare ad inseguire l'obiettivo giusto.
Lo ammetto, in questi ultimi mesi sto cominciando a capire e condividere le loro motivazioni. Dietro al bel mondo "industriale", c'è una verità che tutti sappiamo ma che nessuno ha il coraggio di ammettere: è un lavoro che quando viene portato all'estremo, toglie ogni energia.
Nella mia breve esperienza l'ho già visto ripetersi innumerevoli volte e sempre con le stesse dinamiche: persone (colleghi, clienti, collaboratori) sorridenti e tranquille che arrivano ad avere i volti scavati, occhiaie sempre più vistose, lo sguardo come appannato; la parole di circostanza durante la pausa caffè che nascondono sempre un disagio più profondo, ma di cui è difficile (se non impossibile) parlarne; il mantra quotidiano del "non si può continuare a lavorare così", ripetuto come a voler scacciare tutto lo stress che si accumula; giovani ambiziosi a cui vengono tappate le ali; l'arroganza e il lato più aggressivo delle persone che non esce più sporadico ma che diventa la costante quotidiana, come se urlare dietro alle persone fosse meglio che parlarci insieme.
E dopo aver già visto decine, centinaia di persone, prosciugate delle loro energie da questo sistema produttivo e consumistico senza controllo, te lo chiedi: ma è veramente libertà, questa? E' questo il prezzo da pagare per un lavoro "tranquillo"? E' questo il futuro che mi aspetta? Anni e anni di stress inutile in attesa della (forse) pensione?
Recentemente ho letto proprio un articolo che descriveva questa percezione, che è stata descritta con il termine languishing, languire: una sensazione di vuoto e stagnazione, l'assenza di "benessere".
Una sensazione di vuoto e stagnazione. E' quel sentirsi fuori posto; quel chiedersi, quotidianamente, quale sia la propria strada; è il domandarsi perché devi essere obbligato a svegliarti tutte le mattine per essere alle 8.00 a lavoro, quando vorresti dedicare il tuo tempo ad altro. E' quel continuare non per passione, ma per inerzia.
E' quando percepisci che il tuo tempo sta scorrendo, lento e inesorabile, e che forse non lo stai investendo su ciò che veramente ti appassiona.
E' quando senti una dissonanza sempre più grande tra i tuoi valori e ciò che fai per guadagnarti da vivere, e ti domandi quanto ancora potrai resistere.
Sì, lo so, ci sono quelli che il lavoro non lo trovano da mesi, anni e che staranno pensando leggendo queste righe: ringrazia che tu almeno un lavoro ce l'hai. Tranquilli, so cosa vuol dire lavorare: è da quando ho 16 anni che lavoro, ininterrottamente.
Il giorno del mio esame di maturità, dopo aver fatto la prova orale la mattina, il pomeriggio ero già in hotel a lavorare come barista.
Gli ultimi esami della laurea li ho studiati alle 4 di mattina, finito il turno di notte in bar o il pomeriggio in biblioteca, tra il turno della mattina e quello della sera.
So quanta fatica si faccia a guadagnarsi da vivere.
Ma è sbagliato volere di più? E' sbagliato, arrivati ad un certo punto della propria vita, voler raggiugere un'indipendenza vera?
L'indipendenza di scegliere il proprio futuro scegliendo solamente ciò che senti essere giusto per te, senza pensare al mutuo o alle bollette da pagare.
L'indipendenza di coltivare i propri hobby. Suonare uno strumento musicale, dipingere, correre.
L'indipendenza di dedicare il tempo ai tuoi cari, senza dover essere dipendente da orari artificiali dettati da chissà chi.
L'indipendenza di viaggiare quando si vuole, di esplorare il mondo senza l'ansia di dover tornare a lavoro.
L'indipendenza di dare le tue energie, alle tue idee, ai i tuoi progetti, ai tuoi sogni, e non più alla mercé di qualcun altro: tutto ciò che farai, lo fai per te.
E' un mondo utopico quello che sto descrivendo?
Forse. Ma sto prendendo consapevolezza, ogni giorno di più, che in realtà è un futuro possibile e raggiungibile perché c'è chi ce l'ha fatta, c'è chi ha avuto coraggio, c'è chi ha scelto percorsi non convenzionali, è uscito dalle rigide regole del sistema, con risultati spesso straordinari e inaspettati.